martedì 31 luglio 2012

La Quinta Piccola, Via Moretti-Mainini-Perucci Croce del Monte Bove 29-07-2012

Una notte inquieta……..la nostra prima salita da soli, a tiri alterni, in ambiente, una salita alpinistica.
Alle due di notte già ci sto pensando!!! Saremo in grado????
Ma si dai, le difficoltà non sono alte, basterà non perdere la testa e restare calmi, arrampicare come sappiamo fare e divertirci!!!!
All’alba, come spesso accade, ci svegliamo per preparaci e partire. Appuntamento alle 6 a Belforte, davanti casa di  Matteo, per poter iniziare l’avvicinamento alle 7 circa.
Per  quell’ora infatti siamo all’Hotel Felycita pronti per la nostra avventura.

Il clima in macchina è sereno, come obiettivo ci siamo dati di salire il primo tiro e capire se siamo pronti o se dobbiamo abbandonare la via e ritornare più preparati, quindi già abbiamo fatto i conti con la possibilità di abbandonare e ritirarci. Non sarebbe comunque una sconfitta, arrampichiamo da un paio d’anni e in ambiente questa è la nostra primissima esperienza da soli, per me poi è anche la prima volta da prima.

Entrati in Val di Bove, siamo già con gli occhi puntati sull’ammasso roccioso che abbiamo alla nostra sinistra, qui si erge la  Quinta Piccola, con la “nostra” via, la via aperta da  Moretti, Macinini e Perucci;  120m di salita, suddivisa in 5 tiri  con difficoltà di III – IV grado classificata sulle relazioni AD+  con tratti di  roccia molto rotta che impedisce un’arrampicata tranquilla e obbliga l’alpinista ad essere sempre attento a ciò che tocca e alle rocce da appigliare.

L’avvicinamento è di circa un’ora ma la mente è già sulla cresta a scrutare ogni minimo dettaglio di questa con la speranza che una volta lì in mezzo i riferimenti presi da fuori possano servire per orientarsi meglio. Per salire occorrono almeno 3 ore ma noi già sappiamo che non saremo così veloci, allestire una sosta o mettere una protezione mobile e testarla, impiegano un sacco di tempo, soprattutto quando è la prima volta che si prova. Dovremmo non farci prendere dai dubbi, dalle incertezze, le nozioni e la teoria l’abbiamo imparata e ripetuta, tutto dovrà essere perfetto.
Mentre saliamo ricapitoliamo quando, come e dove allestire le soste, quali usare a seconda della situazione che troviamo e quali segnali scambiarci tra di noi per capirci subito.
Per salire bisogna seguire quasi sempre il filo di cresta, quindi la direzione della via è abbastanza intuibile, le soste sono tutte attrezzate con almeno un chiodo e comunque sono ben visibili, non dovremmo aver troppe difficoltà.
Per raggiungere l’attacco della via tagliamo il pendio, costeggiamo il boschetto ed arriviamo ai piedi della Quinta Piccola percorrendo un sentiero abbastanza evidente. 

 
Sotto la via ci prepariamo, indossiamo imbraco, caschetto e tutto il materiale, friends e dadi, nuovi di zecca che brillano come diamanti, rinvii e cordini per le soste. Siamo carichi, abbiamo preso con noi troppo materiale, più della metà non verrà neanche utilizzato, ma le prime volte è difficile regolarsi.
La via inizia su una placca, che si può evitare e aggirare passando tutto a destra o affrontare, su un dietro con roccia tutta sfasciata o su una placchetta molto liscia più a destra. Noi decidiamo che il primo a salire sarà Matteo e lui sceglie la via della placca liscia. 

Con un po’ di difficoltà,  a causa dei muscoli freddi e del cervello ancora non sincronizzato con l’ambiente  Matteo trova la linea giusta per salire il primo tiro, si dirige a destra e poi prosegue dritto, i primi 10 metri sono proteggibili con fix,  poi si arriva in un tratto di rocce più rotte dove è molto più difficile muoversi e   proteggersi. 
La prima sosta la facciamo all’attacco vero e proprio della via, riconoscibile per la targa del CAI in ricordo della prima salita. Ora è il mio turno, devo andar su da prima, questi erano i patti, avanzare a tiri alterni. Nonostante mi sia già terrorizzata nel primo tiro, per la condizione della roccia che veramente frana al nostro passaggio e ti si stacca da sotto le mani, leggiamo sulle relazioni delle ripetizioni della via che il tiro non è lungo ed è anche relativamente semplice. Senza protestare né dubitare, prendo tutto il materiale, protezioni mobili e cordini e parto.
So che devo seguire il filo di cresta, quindi non mi preoccupo della direzione giusta da mantenere, almeno questo non è un problema, invece devo star attentissima a non far cadere giù nulla, la roccia è uno schifo e sotto c’è Matteo che non gradirebbe un sasso in testa. Continuo per circa 25m  e più avanzo più mi preoccupo di individuare la sosta, andare dritti e non vederla è una delle mie paure più grandi.  Muovendomi molto cautamente per questi motivi è quasi impossibile non scandagliare l’ambiente davanti ai tuoi occhi nel modo più dettagliato possibile e quindi risulta anche facile individuare chiodo e spuntone che so essere la mia metà. Attrezzo la sosta con il cuore sollevato, ho compiuto la mia parte di dovere, ora devo solo recuperare Matteo, per lui sarà facile la salita, qui la difficoltà non è arrampicare, ma restare sereni, immersi in un ambiente così “strano” e pericolosamente vacillante.

Ad ogni sosta leggiamo la relazione del tiro successivo che ci indica la giusta direzione e poi Matteo riparte percorrendo un traverso a destra, e riprendendo poi la salita.
Bisogna scegliere tra due canalini, Matteo fa la scelta giusta e prende quello più a destra che lo porta a superare il pulpito e a raggiungere la croce che è anche la sosta di questo tiro. Siamo tornati così sul filo di cresta, infatti la croce è ben visibile anche da lontano, e si trova precisamente su un terrazzino lungo la cresta.



Ora tocca di nuovo a me, ma oramai l’ansia è svanita, anzi inizio a prenderci gusto, ho capito che la difficoltà tecnica, il grado tecnico è alla nostra portata e che dobbiamo solo procedere con calma. C’è un chiodo un po’ fuori via, tutto a destra, quasi mi verrebbe voglia di non proteggermi lì perché è parecchio spostato dalla linea di salita che ho immaginato, ma ovviamente ogni buona protezione è da sfruttare e poi se la spittatura mi porta in quella direzione un motivo ci sarà.  Mi proteggo con un rinvio al vecchio chiodo e da lì salgo lungo una linea immaginaria abbastanza dritta che però passa su rocce rotte ed è quindi da interpretare molto attentamente. Unica protezione il chiodo alla partenza da intrigare con friends o dadi, mi sembra di aver messo un dado a metà via, e di aver urlato a Matteo di vedere se era posizionato bene, è il mio primo dado e non sono del tutto sicura che possa reggere. Continuo l’ascesa fino ad arrivare su una cengetta sulla quale quasi posso alzarmi in piedi e trovo avanti ai miei occhi ciò che stavo cercando, un masso con una cavo metallico e una maglia rapida dove far la sosta.





Anche questa volta prima di partire mi sono consultata con Matteo per capire come meglio allestire la sosta su un cavo metallico. Matteo, molto più attento e preciso di me già sapeva che c’era una maglia rapida e mi ha detto di cercarla. 




Dalla mia posizione la croce sottostante è ben visibile,  appena sotto,  spostata di poco a sinistra, il tiro non è stato più lungo di 25 metri.



E’ di nuovo il turno di Matteo che dal masso riparte per l’ultimo tiro.
Sappiamo che dobbiamo salire la prima placca di roccia rotta per circa 15 m e all’attacco del diedro, che si trova subito sopra, cercare due chiodi per allestire una sosta intermedia e spezzare il tiro che altrimenti risulterebbe molto lungo, oppure proteggersi e proseguire lungo il diedro. Matteo sceglie di continuare e saltare la sosta intermedia. Così facendo sa che dovrà percorrere circa 50 m prima della prossima sosta, e che alla fine la corda risulterà pesantissima.


Percorso il diedro, lungo 20 metri circa, Matteo si sposta un po’ a destra per superare un tratto di  roccia abbastanza buona, forse lui è passato un po’ più al centro di questa placca, perché io nel seguirlo ho  individuato un chiodo da lui non usato più a destra. Dopo questo spostamento c’è da riprendere la linea di cresta e continuare a salire per altri 25 metri. 



La corda oramai è quasi tutta stesa ed è pesantissimo trascinarla ed arrampicare, Matteo non ne è al corrente della posizione esatta della sosta, e appena individua l’ultimo blocco di roccia utile per far sosta l’attrezza. Proprio appoggiata sopra quel sasso, quell’ultimo masso utile, poco visibile c’era l’ultima sosta con fix.
Da qui si prosegue sul sentiero che porta alla croce del Bove occorrono altri 30 minuti per arrivare ma oramai le gambe non sentono la stanchezza e la testa ripercorre i momenti della salita.
Ci scambiamo complimenti e approvazioni reciprocamente, siamo stati in gamba. 


Io scenderei tranquillamente anche senza arrivare alla croce, sono svuotata, ma soddisfattissima, Matteo invece insiste per giungere fin in vetta. Sarebbe stato veramente un peccato mancare la vetta per una trentina di metri. 

Per scendere si incontra un sentiero che taglia il versante e torna in Val di Bove, percorriamo quel sentiero sempre con gli occhi rivolti alla cresta appena percorsa, in silenzio, ognuno rivivendo le proprie emozioni che so essere simili………….la montagna avvicina gli animi, e certe esperienze si possono compiere solo con qualcuno con il quale si è legati e uniti strettamente.
Grazie compagno di cordata, grazie della bella esperienza vissuta insieme.
Matteo Pallotto - Beatrice Tasso 
29-07-2012 Via Moretti,Mainini,Perucci- Quinta Piccola - Croce del Monte Bove Nord


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